Il 29 settembre 2025 a Campobasso, in Molise, ha preso il via una nuova edizione di Jazz’Inn: l’iniziativa promossa dalla Fondazione Ampioraggio che ogni anno trasforma borghi e aree interne italiane in capitali temporanee dell’innovazione. Un evento che coniuga visione e concretezza, capace di unire professionisti, imprenditori, ricercatori, investitori, amministratori locali e cittadini attivi intorno a un obiettivo comune: immaginare – e costruire – nuove traiettorie di sviluppo per i territori considerati “marginali”, che oggi sempre più dimostrano invece di essere luoghi strategici.
Di seguito il racconto della prima giornata da parte del Presidente di Netural Coop, Andrea Paoletti.
“In questo contesto, come presidente di Netural Coop, ho avuto l’onore di moderare uno degli Open Talk più densi e significativi della giornata inaugurale. Un dialogo corale con voci autorevoli e plurali, provenienti dal mondo accademico, istituzionale e dell’innovazione territoriale. Un momento di ascolto e confronto, ma anche di posizionamento chiaro: l’idea di fondo che ho voluto portare sin dall’introduzione è quella che da anni guida il metodo di lavoro di Netural Coop, fatto di prossimità, di visione sistemica e di attivazione delle energie locali.
Nel mio intervento iniziale ho voluto proporre un cambio di prospettiva. Ribaltare una narrazione. I borghi e le aree interne non sono più – o forse non sono mai stati – semplicemente territori da salvare. Sono, piuttosto, cantieri vivi di innovazione, laboratori di qualità della vita, hub relazionali e culturali. Sono luoghi dove si sperimenta un altro modo di abitare il mondo, di fare impresa, di generare valore.
A ciascuno degli ospiti ho chiesto di partire non dai problemi, che conosciamo fin troppo bene, ma dalle esperienze già in corso, da ciò che si muove sotto la superficie: azioni concrete, visioni di lungo periodo, strategie possibili. Ho chiesto cosa stanno facendo ora per trasformare il potenziale in realtà e quale ruolo immaginano per questi territori nel futuro del nostro Paese.
Perché se è vero, com’è vero, che ogni territorio è in movimento, allora siamo chiamati a guardare alle aree interne con occhi nuovi. Non più – o non solo – come periferie geografiche, ma come spazi simbolici e politici da cui ripensare l’intero modello di sviluppo. Luoghi a lungo raccontati solo attraverso il registro della fragilità, dello spopolamento e della nostalgia, ma che oggi stanno scrivendo una storia diversa, silenziosa e profonda, fatta di ritorni consapevoli, di nuove appartenenze, di comunità ibride che imparano a convivere, progettare, rigenerare.
Lo raccontano i dati – come quelli del Rapporto Montagne Italia 2025 dell’UNCEM, che segnalano un saldo positivo nei flussi migratori interni verso le aree montane – ma soprattutto lo raccontano le storie delle persone che tornano, restano, si mettono in gioco. Giovani formati, innovatori sociali, artigiani, imprenditori, agricoltori, ricercatori. Donne e uomini che, pur tra mille contraddizioni, stanno riscrivendo il significato stesso dell’abitare.
Come ha scritto la sociologa Rita Salvatore, non si tratta solo di un ritorno, ma di una riscrittura. Una riscrittura lenta, complessa, ma carica di senso. È questa la chiave con cui abbiamo voluto leggere i territori durante l’incontro: non come luoghi “da salvare”, ma come spazi già ricchi di iniziativa, già attraversati da processi di innovazione sociale e culturale. Luoghi che non chiedono più soltanto risorse, ma riconoscimento. Non più assistenza, ma ascolto.
Ed è proprio in quest’ottica che diventa fondamentale parlare di sviluppo territoriale integrato. Un approccio che supera la frammentazione degli interventi e delle competenze, mettendo in rete risorse materiali e immateriali, coinvolgendo attori diversi e promuovendo alleanze tra pubblico, privato e comunità locali. Un approccio che richiede strumenti adeguati, come piani di gestione partecipati e visioni condivise, capaci di valorizzare le specificità di ogni territorio, senza ridurlo a cartolina o a semplice destinazione turistica.
Per fare questo, però, è necessario uscire da una logica di “presentismo”, che troppo spesso caratterizza la cultura politica e amministrativa italiana, incapace di guardare oltre l’orizzonte del prossimo bando, del prossimo ciclo di finanziamento o del prossimo mandato elettorale. Serve invece il coraggio di pensare nel lungo periodo, imparando dalle grandi storie del passato – che questi territori custodiscono con profondità – ma investendo soprattutto in visione, in progettualità collettiva, in percorsi che coinvolgano tutti gli attori del territorio: istituzioni, imprese, università, terzo settore, comunità locali. Nessuno escluso. Perché lo sviluppo o è condiviso, o semplicemente non è.
Il panel che ho avuto il piacere di moderare non è stato solo un confronto su buone pratiche. È stato – come speriamo ogni nostra azione sia – un atto politico, una proposta di senso, un invito a immaginare un Paese diverso. Un’Italia che non concentri tutto in pochi poli, ma che sappia distribuire visione, opportunità, futuro.
Quando discutiamo dei borghi e delle aree interne, non stiamo parlando solo di geografia. Stiamo interrogando il modello di sviluppo che vogliamo per l’Italia. E allora la domanda con cui ho voluto chiudere – e che lascio anche qui – è una domanda semplice, ma radicale:
Cosa siamo disposti a cambiare – nelle politiche, nella narrazione, nelle pratiche – per rendere questi territori davvero centrali?”






